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IL MITO DELLA MACCHINA

Modernità, velocità, dinamismo

Se nei primi anni del '900 la rivoluzione industriale irrompe prepotentemente nella cultura occidentale sconvolgendo complatamente le tecniche industriali ed introducendo la "macchina" nella catena di produzione, con l'avvento del ventunesimo secolo è la tecnologia a rendere ancor più efficente l'operato di queste ultime.

Si tratta oggi di Robot all'avanguardia, capaci di sostituire la forza lavoro di centinaia di operai in modo più rapido, non-stop e con meno margine di errore.

Elon Musk ha sempre cercato di controllare la tecnologia e, sfruttando la sua incredibile molteplicità di funzioni, è stato all'altezza di creare qualcosa di utile e innovativo per la società.

Tuttavia, lui stesso teme che in un futuro prossimo proprio la tecnologia potrà essere la peggior minaccia per l'uomo. Per tale motivo, ha deciso di investire anche in questo settore fondando Open AI, una società no-profit che vuole rendere pubblica la ricerca sull'intelligenza artificiale e i risultati che essa produce.

 

Facciamo un passo indietro, ventesimo secolo:

Siamo in pieno futurismo. La rivoluzione sconvolge completamente le forme di vita tradizionali, favorendo l’avvento della grande industria: impiego massiccio delle macchine, produzione su vasta scala e razionalizzazione del processo produttivo. Nasce la società di massa e la conseguente crisi dell’individuo che perde man mano la sua fisionomia umana. Nella dialettica industria-letteratura, la reazione degli intellettuali assume molteplici forme: da un lato il maledettismo che percepisce l’incombente fine dell’arte, dall’altro il superomismo che tenta di strumentalizzare l’arte in funzione della modernità, lanciandosi in una trasfigurazione della realtà contemporanea.

La società di massa, con i suoi moderni processi produttivi, si propone di imporre nuovi miti, per stringere interi nuclei sociali attorno ad un unico ideale: il mito della macchina.

La letteratura, alla luce di una sensibilità sociale attenta alla problematica industriale, cerca di esprimere questa moderna mitologia nelle opere di due grandi sostenitori della modernità, Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti. 

D'Annunzio, ad esempio, in "Maia" si fa interprete e divulgatore della nuova religione della macchina, sposando le istanze imperialiste che si concretizzano nell’esaltazione dell’eroismo e nel superomismo.

Marinetti, nel suo "Manifesto del Futurismo" esalta l'estetica della velocità:

<<Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia>>.

A queste tesi fiduciose si oppone Pirandello che nei "Quaderni di serafino Gubbio operatore" sposta il punto di vista da una scattante automobile ad una lenta carrozzella, dalla quale si può ammirare meglio il paesaggio. Dunque porta avanti la sua polemica contro il presente meccanico (la macchina) per richiamare un passato idilliaco (la carrozzella), alla ricerca del significato del rapporto uomo-natura, modificato dall’industria.

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